Fondi immobiliari, la quota di Imu e Tasi sempre più pesante
Utili in calo, erosi dalle tasse, e prevalenza di strumenti non quotati negli investimenti immobiliari. Queste le principali evidenze del XII Monitor sulla Finanza immobiliare, realizzato in collaborazione con Caceis, asset servicing del Gruppo Crédit Agricole, e presentato durante lo scorso 29 novembre a Milano.
Fondi immobiliari, garanzie per operazioni a debito
“Tra gli aspetti che meritano di essere indagati – ha sottolineato il prof. Claudio Cacciamani, del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Parma, presentando l’Osservatorio, - c’è quello della nascita di nuove tipologie di fondi che si collocano a metà tra l’immobiliare e il private equity, nonché quello della gestione finanziaria dei fondi immobiliari che diventerà sempre più importante per dare quelle garanzie necessarie per effettuare operazioni a debito”.
L’approvvigionamento di finanziamenti a debito, infatti, rischia di diventare sempre più dispendioso anche a causa dell’aumento dei rendimenti di titoli di Stato, che fanno aumentare a cascata i costi di tutti i finanziamenti, nonché a causa della normativa per la sottoscrizione di fondi, che possono destinare solo un decimo del proprio capitale ad attività di investimento immobiliare.
Prevalgono i fondi Oicr nei fondi immobiliari
Secondo il Monitor sulla Finanza Immobiliare, a prevalere tra gli impieghi dei fondi immobiliari sono gli strumenti non quotati, in particolare titoli di debito e quote in fondi che investono in altri fondi (cosiddetti OICR, ovvero Organismi di investimento collettivo del risparmio). Nel primo semestre 2018 la quota di investimenti non quotati era infatti del 96,32% contro uno scarso 3,68% di strumenti quotati. Una tendenza che si è replicata anche negli anni scorsi, con minime variazioni.
Quota di liquidità nel portafoglio dei fondi immobiliari
Se si guarda alla composizione degli attivi investiti in attività immobiliari, oltretutto si può notare che dal 2015 è sempre presente in portafoglio una quota di almeno il 5% in liquidità: ciò è dovuto alla normativa europea che impone, dopo la crisi, il mantenimento di un certo stock di liquidi in ogni attività finanziaria, a protezione dalle oscillazioni del mercato. Nel primo semestre 2018, oltre a questa quota di liquidità, è stato presente un 5% circa di strumenti finanziari vari, un 3% di altre attività e un 87% circa di investimenti in immobili o diritti reali immobiliari. L’investimento in strumenti derivati, che nel 2013 rappresentava oltre il 2% del totale degli attivi, dopo essersi azzerato negli anni successivi (a causa della scottatura creata dalla crisi) è tornato a fare capolino al 30 giugno 2018 con un mezzo punto percentuale sul totale degli investimenti.
Fondi immobiliari, utili erosi da Imu e Tasi
La nota dolente dei fondi immobiliari sta nella quota di utile rispetto all’investimento, che si è rivelata in costante perdita dal 2012 al 2017 (dati al 31 dicembre), cedendo circa il 2% annuo in media. A pesare sul risultato sono in parte anche le tasse, in particolare Imu e Tasi, imposte a partire dal 2012: la percentuale dei balzelli sul totale degli attivi ha oscillato dal 21,53% del 2012 al 39,34% del 2017, con un picco nel 2016 del 66,51%.
Infine, l’incidenza della componente retail sui fondi immobiliari, al 31 dicembre 2017, è rimasta limitata al 18% (contro un picco del 51% del 2014), mentre il restante 82% è composto di investimenti riservati. Inoltre, la maggioranza degli investimenti sono a lunga scadenza (56%) e a media (32%), mentre a breve scadenza restano il 12% degli impieghi. Tendenza, questa, che è rimasta pressochè invariata nel tempo.
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